Riforme fiscali: l’esempio del 12 febbraio

Redatto nel 2017 in vista della votazione federale del 12 febbraio 2017

Ci apprestiamo a votare sui temi federali del prossimo 12 febbraio. C’è da disperarsi: gli sforzi per comprendere la portata ed il senso delle proposte si scontrano con un campo di attività ed un linguaggio tecnicamente difficili: sia il tema del fondo FOSTRA che quello della riforma III dell’imposizione delle imprese affrontano problemi quasi incomprensibili. In queste condizioni spesso o ci si fida di qualche raccomandazione o si rinuncia a votare. Ma si può anche cercare più caparbiamente delle spiegazioni. Che cosa c’è in gioco? Chi vuole che cosa e perché? Forse l’analisi degli interessi in gioco può aiutare a capire. Se affrontiamo la riforma della fiscalità delle imprese dobbiamo partire dalla realtà di oggi per capire le proposte. E’ un realtà che è il risultato di alcuni decenni di sforzi da parte dei principali cantoni svizzeri tesi ad attrarre sul proprio territorio nuove aziende e i loro posti di lavoro aumentando la propria attrattività fiscale. Si è così creata una doppia fiscalità per le imprese: quella normale delle aziende attive sul territorio e quella privilegiata (a volte in modo decisamente esagerato) per aziende nuove che trasferivano in Svizzera, nell’uno o nell’altro cantone, non tanto le loro attività produttive ma piuttosto attività accessorie: quelle (a) delle società holding, società che sono solamente proprietarie di altre società e quindi le controllano, gestendo ad esempio i loro bisogni di tipo finanziario, quelle (b) delle società di servizio, società che svolgono compiti per altre società del medesimo gruppo, ad esempio gestiscono i loro acquisti o le loro vendite, o (c) quelle di altre società dal nome ancora meno comprensibile che qui possiamo trascurare. Caratteristica comune di queste società a statuto speciale è quella di creare forti utili, come può essere ben compreso per una società di servizio che ad esempio acquista in blocco i componenti necessari ad altre aziende del suo gruppo per comporre i loro prodotti finali. A dipendenza del prezzo poi fissato alle proprie aziende produttive per la fornitura di quei componenti, i gruppi internazionali possono spostare una parte importante dell’utile totale, sottraendolo alle ditte produttrici. Ed è chiaro che per posizionare le società di servizio vengono scelti i paesi fiscalmente più attrattivi. … … In un Europa nella quale i livelli di tassazione delle aziende sono eccessivamente elevati, questo sistema di deviare utili all’estero non poteva lasciare indifferente l’Unione Europea. Se i Cantoni svizzeri fossero stati più moderati nella ricerca dell’attrattività fiscale attraverso la concessione di privilegi, forse si sarebbe potuto mantenere più a lungo il sistema di fiscalità privilegiata che invece con la riforma III scomparirà. Ma così non è stato: taluni cantoni sono scesi con le loro aliquote per quelle società a statuto speciale a livelli di tassazione così bassi da apparire anche per noi svizzeri inaccettabili. L’esagerazione ha così portato ad una potente coalizione internazionale che ha messo anche la Svizzera fuori gioco.
La riforma III dell’imposizione delle imprese è nata da questa evoluzione e mira a fare ritrovare al sistema fiscale svizzero un nuovo accettabile equilibrio. Le sue componenti sono sostanzialmente tre: l’abolizione di ogni privilegio a favore di una tassazione uguale per tutte le aziende, l’introduzione (per compensare parzialmente la crescita della tassazione delle società finora privilegiate, che sono tante e pagano molte imposte) di nuovi tipi di riduzioni fiscali che siano però a disposizione di qualsiasi azienda che ne adempie i requisiti e che siano internazionalmente accettati (ad esempio privilegi per favorire le capacità di innovazione delle aziende) e margini di manovra (finanziari e tributari) per i cantoni affinché possano adattare i loro sistemi fiscali cercando di non perdere troppi di quei contribuenti interessanti, visto l’inevitabile aumento dei tassi di imposizione. Una parte del prezzo della riforma la deve pagare la Confederazione, come è giusto, poiché paradossalmente è stata lei la maggiore beneficiaria delle tassazioni speciali cantonali. Alle concessioni decise dai cantoni non si sono infatti mai accompagnate concessioni analoghe del fisco federale, che ha continuato a tassare gli utili di qualsiasi società al tasso fisso dell’8,5 %, un tasso troppo alto per rendere la Svizzera attrattiva. Quel tasso troppo alto è stato spesso la ragione di concessioni esagerate dei cantoni (e indirettamente anche dei comuni). La riforma prevede così un aumento della partecipazione dei cantoni al provento dell’imposta federale diretta. Si calcola, ma sono cifre che vanno prese con prudenza, che la misura trasferirà ai Cantoni 1,3 miliardi di franchi all’anno. Visto che la Confederazione da decenni accumula utili d’esercizio ben superiori a quei 1,3 miliardi, la misura mi sembra quasi troppo modesta: io avrei preferito una diminuzione del tasso fisso dell’8,5%, ma non è stato politicamente possibile.
I Cantoni devono a loro volta rivedere i loro sistemi e in generale hanno deciso (o meglio propongono, visto che quelle decisioni potrebbero essere oggetto di referendum) una riduzione generale dei tassi di imposizione della aziende (di tutte) diventando così più attrattivi anche per le aziende tassate normalmente (che è una gran bella cosa, se ci teniamo a posti di lavoro interessanti) e cercando di non scoraggiare troppo chi beneficiava di imposizioni privilegiate. In Ticino si prevede di portare il costo fiscale totale dell’imposizione degli utili aziendali dal 19,8 % al 16,2% (di cui l’8,5% è la quota dell’imposta federale!). E’ una soluzione equilibrata, che rende più attrattivo il cantone per moltissime aziende e favorisce la piazza industriale ticinese, sempre più importante dopo il ridimensionamento della piazza finanziaria. Potrebbe non bastare per trattenere tutte le aziende finora tassate grazie allo statuto speciale, ma è un passo importante a favore di un cantone che fiscalmente non è più molto molto interessante e quindi rischia grosso. Sarà il nuovo equilibrio? Secondo me ci sono buone prospettive che sia così. Ma la risposta verrà solo fra alcuni anni, se la riforma dovesse passare. Il passo è nella giusta direzione (basta privilegi, migliore attrattività per il Cantone, sforzo di salvaguardia dei posti di lavoro e quindi anche dell’incasso fiscale che essi generano). Come sempre la sinistra è contro, anche se ha combattuto i privilegi fiscali per decenni. La conosciamo: ad ogni riforma fiscale grida allo scandalo e all’imbroglio, con voce sempre più alta e sempre meno convincente. Se guardiamo le cifre e non ci lasciamo impressionare troppo dai suoi schiamazzi, ci accorgiamo che dopo ogni riforma della fiscalità gli introiti provenienti dalle imprese sono aumentati, non diminuiti. D’altra parte la sinistra è specialista nel ridistribuire, non nel creare le premesse per una crescita economica: lasciassimo fare a loro, non avremmo, e loro non avrebbero più nulla da ridistribuire.
Nota finale: il 12 febbraio 2017 il popolo svizzero ha respinto la riforma fiscale delle imprese III con il 56% di voti contrari